Ascoltare le canzoni di Luca Dolci è come passeggiare sulle vie della vita, sfiorarle mentre le si percorre e vederle con la forza di immagini melodiose, raccontate dalla sua voce piena e ammaliante. È questo che ho provato, la prima volta che l’ho ascoltato. Le sue canzoni riportano parti di lui, ma anche qualcosa di ognuno di noi, proprio come dovrebbe fare una vera narrazione e proprio come fanno i veri cantautori.

di Francesca Delvecchio

Luca è uno scrittore, prima che un cantante e un musicista. Dentro di lui le parole ardono e viaggiano nella memoria a lungo, poi si fanno fiume e sulla scrivania si moltiplicano i fogli e i pezzi di carta su cui ha annotato i suoi versi, le rime, le parole che con la musica diventeranno brani di un’autenticità disarmante.

Come funziona, gli ho chiesto, prima la musica o prima le parole?
«Prima le parole» mi ha detto «la musica è una conseguenza, poi passo al lavoro di lima e cerco la combinazione giusta. Ancora però, per quanto riguarda il suono, non sono totalmente soddisfatto. Lo sto cercando, sto cercando l’armonia e l’unione giuste».

Sentire il tocco della sua chitarra, accompagnato dall’armonica e lasciarsi trascinare dal decantare dei suoni creati dalla loop station è come essere ospiti a casa sua. Luca canta e ti dice “se vuoi ascoltami, oppure no, ma ciò che ti dirò non fa solo parte di me, bensì di tutti”.

Come va il rapporto con il pubblico, gli chiedo, le persone apprezzano ciò che fai?
«Sì, mi sento apprezzato ma, è chiaro, ascoltare qualcuno che è da solo sul palco non stimola automaticamente tutti. Sono lieto però di vedere che molte persone tornano ad ascoltarmi dopo avermi scoperto una prima volta e spesso portano degli amici. È questo il potere della musica in fondo».
Sono d’accordo con lui. La musica è un potere che riesce e può unire tante persone, ma bisogna anche saper ascoltare.

Hai un occhio a volte critico sul mondo, gli dico, spesso nei tuoi testi ricorre una descrizione della società che rispecchia i tuoi dubbi. Spesso ti chiedi cosa stiamo facendo, dove stiamo andando o se ci accorgiamo  di quel che accade al di fuori di noi. Il Festival de “Le Città Visibili” quest’anno verte su tematiche di una certa rilevanza, come l’immigrazione, la violenza sulle donne, il riuso.

«Ho tanti testi, ancora non pubblicati ma cantati nei concerti, che trattano tematiche diverse. Spesso scrivo di me, della mia vita, ma “L’estate in mezzo al mare”, per esempio, parla degli immigrati che muoiono in mare mentre noi ce ne stiamo sulle spiagge a prendere il sole, “Dal Mississipi al Mali” parla della guerra in Siria, ecc. Per quanto riguarda la violenza, non mi piace parlare di violenza di genere. La violenza è universale putroppo, donne, bambini, immigrati, persone di colore, di cultura o di religione diverse.
Mi piace ascoltare le storie degli altri, anche delle persone (socialmente) emarginate e raccontarle. Ogni vita ha un universo dentro e trovare le parole giuste per portarle agli altri mi affascina più di qualsiasi altra cosa».

Luca è un ragazzo giovane che ha scelto di vivere la vita seguendo le sue passioni. Ciò che conta per lui è raccontare, mettere al centro di tutto la musica e trovare il confronto con gli altri.
Il suo canto, in fondo, è un invito ad un incontro. Non solo un incontro con le sue parole, ma con la parte più sensibile e nascosta di noi stessi.

Non voglio convincere nessuno a venire ad ascoltarlo il 25 luglio, alle 21.30, in apertura al concerto di Gnut.
Il mio è solo un invito aperto e spontaneo, esattamente come è lui.